martedì 1 maggio 2012

Di Platone, Cincinnato e Mario Monti

A distanza di pochissimi mesi dal suo avvio, l'esperimento di repubblica platonica incredibilmente tentato, all'alba del XXI secolo, in un paese dell'occidente europeo sta penosamente avviandosi al fallimento. I sacerdoti della tristezza chiamati ad ungere, con la virtù di vite irreprensibili e la magia di sapienze iniziatiche, le storture di un popolo che non ne voleva sapere di redimersi da solo, stanno consumando le ultime bacchette magiche a forza di strofinarle qui e lì, nel disperato tentativo di trasformare il rospo in principe.

E' sempre incredibile il potere che hanno le fiabe di convincere gli umani di ogni età. Il loro soffio è in grado di attraversare gli spessi muri dei più austeri palazzi e di scivolare silenzioso tra i passi felpati che scandiscono i riti del potere, di muoversi invisibile tra gli impolverati scaffali di antiche biblioteche, al cui ingresso bronzei omaggi celebrano aulici la potenza redentrice della ragione, di giocare divertito tra storiche rotative, orgogliosamente memori di una gloria che fu e di risalire, furtivo e veloce, i difficili tornanti che portano ai colli più importanti.

Il povero Popper perse la voce a forza di sgolarsi nel tentativo di mettere i suoi simili in guardia dalla malia del filosofo ateniese ed evitare che essi potessero cedere alla banale tentazione del governo dei migliori. E con lui pure Berlin ed Hayek e tanti altri. Ma, si sa, gli illuminati oggi leggono Rousseau e, nottetempo, pure Kant e quando scorgono in lontananza la candida purezza di una capigliatura di vecchio, magari impreziosita da un portamento monacale, perdono letteralmente la testa e cominciano a fantasticare di redenzione e nuovo mondo. Non importa, poi, a chi appartenga, nella realtà, il prezioso scalpo: se a Gandalf, ad un tribuno dalla parlantina sciolta, ad un rinomato maestro di penna dai trascorsi imperiali, oppure ad uno studioso un po' impacciato, appena emerso da una biblioteca con l'idea di prendere una boccata d'aria fresca. E non è, tra l'altro, un caso che le donne degli illuminati sfoggino anch'esse l'orgoglioso biancore di caschetti sbarazzini, serena testimonianza di freschezza spirituale, meravigliosamente contenuta dalla solida consapevolezza che solo il trascorrere porta con sé. Tricologica fusione di opposti che Jung per primo avrebbe, di certo, apprezzato.

Ma nel ristretto club dei migliori sono fatti così: vivono della gratificante leggerezza dei simboli (ed a Popper preferiscono decisamente Potter). E pensare che trascorsi importanti suggerirebbero di non usare il cilindro del mago per trovare l'uomo della provvidenza. Cincinnato, per dire, aveva già dato prova di sé, quando gli inviati del Senato lo strapparono all'aratro in un momento difficile della storia della Repubblica. E’ da escludere che quegli illustri ambasciatori lo avrebbero mai richiamato nell'Urbe se la fama di cui egli godeva fosse stata legata unicamente alla abilità tecnica con cui maneggiava il vomere o perché nei fori era tutto un dire della sua leggendaria sobrietà.

Il fatto è che spingere un popolo di quasi sessanta milioni di solisti lungo un tunnel di depressione a botte di provvedimenti spesso frettolosi e pasticciati e di dichiarazioni mediatiche soporifere, irraggiando, al contempo, la stessa luminosità di un piovoso crepuscolo novembrino è operazione già di suo parecchio complicata. Se poi questa fantasia è preceduta da un atto di capitolazione incondizionata ad una potenza straniera, compiuto con l'orgoglioso compiacimento con cui il primo della classe sorride alla maestra che, sadicamente, gli riempie il diario di compiti per le vacanze, la faccenda rischia di diventare davvero impossibile.

Il fallimento dell'operazione “governo perfetto” sta in buonissima parte nella mancanza di capacità negoziale tragicamente emersa nelle situazioni di “corpo a corpo” sia interne che internazionali. “Saper vendere cara la pelle” è una qualità che un leader convincente deve dimostrare di possedere. In fin dei conti, i passaggi elettorali servono a selezionare gli aspiranti candidati anche sotto questo punto di vista: non è un caso che Silvio Berlusconi sia stato il recordman incontrastato delle preferenze personali negli ultimi vent'anni. Certo, l'arcoriano non è stato prelevato dalla vetrina grande del salotto, dove i cristalli pregiati della collezione di famiglia fanno bella mostra di sé. Nossignore, egli è stato eletto dalla strada e della strada porta addosso l'inconfondibile puzzo. Meglio, molto meglio sostituirlo alla prima occasione con qualcuno di più rispondente ai criteri estetici dei palati più raffinati, quelli che hanno saputo “farsi” in decenni di frequentazioni importanti.

Sia come sia, gli sconsolanti risultati del quirinalizio abbaglio sono oramai sotto gli occhi di tutti. A poco aiutano le dichiarazioni di sostegno al Governo dei primi da parte di alcuni beneficiati di lungo corso del sistema, che, nel neo statalismo anestetico del tandem Monti-Napolitano, intravedono la possibilità di ricostruire vecchi strati di impermeabilissimo silicone partitocratico tra cittadinanza e potere. Costoro si sono ridotti a fissare nostalgici lo specchietto retrovisore della storia, dopo averlo puntato sugli anni bui dell'immobilismo consociativista democristiano. Prima il sistema saprà isolare la loro bislacca voglia di restaurazione e meglio sarà per tutti: il fallimento del tentativo di esproprio del diritto di voto, nascosto tra le pieghe della recente proposta di legge elettorale, è una buonissima notizia per tutti coloro che, in questo disperato Paese, amano la libertà (e ad oggi, c'è pure da scommettere in una fine ingloriosa dei tentativi di salvataggio dello sconcio del finanziamento pubblico ai partiti).

Insomma, a conti fatti, l'unica eredità dell'incredibile avventura migliorista cui stiamo assistendo sempre più allibiti rischia di essere (a parte i livelli demenziali di tassazione, il debito pubblico in aumento e i due marò finiti nella ragnatela di un sistema giudiziario di tipo italiano) la spinta data allo sgangherato movimento grillino che sta facendo un sol boccone dell'elettorato del centrosinistra (e forse anche di qualcosa a destra). Chissà se è questo che il simpatico Bersanone nazionale aveva in mente quando, in evidente stato di tranche, ripeteva ossesso: ”Berlusconi se ne deve andare”.

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