venerdì 2 marzo 2012

La battaglia per la ripresa del Paese. Con questi generali?

Quando, qualche giorno fa, ci è capitato di intercettare l’ennesima riformulazione, da parte di Pierferdinando Casini, dell’idea di grande centro, ci è venuto (con rispetto parlando) da sbadigliare. Tutto normale, si obietterà. E sarà pure così. Il problema, però, è che, da allora, non siamo più stati in grado di smettere. Ciò è parecchio imbarazzante, oltre che faticoso, ma non possiamo farci nulla. Purtroppo, al solo pensarlo, il trentennale curriculum politico del bolognese ci intasa le narici di un intensissimo aroma di camomilla che tende a stritolare le nostre facoltà coscienti. 

Da portaborse di Forlani a spallina di Berlusconi (che, dopo averlo salvato dal tracollo democristiano, ne fece la terza carica dello Stato, durante una delle poche legislature portate a scadenza naturale), fino alla tiepida partecipazione alla campagna elettorale del 2006 ed al voltafaccia definitivo del 2 dicembre di quello stesso anno, quando il felsineo scelse di guardare da Palermo la imponente manifestazione romana del centrodestra (nella quale, tra l’altro, numerose sfilarono le bandiere dell’ UdC). A distanza di anni, ricordiamo ancora, con nitidezza, di un partecipante al contro comizio siculo del bel Pier che, intervistato da un TG, dichiarò la sua nostalgia per i tempi oramai lontani del pentapartito. Fu proprio allora che intuimmo la portata giurassica della rivoluzione dell'ex democristiano.

E pensare che la vita politica del Nostro ha attraversato alcune tra le fasi più tormentate e creative della storia, a livello sia globale che nazionale: l'iperinflazione ed il terrorismo dei primi ottanta, l’esplosione del debito pubblico, il crollo del muro, la fine del partito comunista, l'Iraq 1, tangentopoli, le stragi di mafia, le guerre nei Balcani,  le bolle speculative dei novanta e le ripetute crisi nazionali (Giappone, Messico, Argentina e sud-est asiatico), la rivoluzione di internet, l'11 settembre e la minaccia islamista, l'Iraq 2 e l'Afghanistan, la tigre (di cartone) cinese, due terremoti devastanti in altrettante aree della penisola (oltre ad un numero imprecisato di alluvioni), la crisi finanziaria globale, le rivolte arabe, la Grecia, l'Euro a carte quarantotto, la strafottenza alemanna, il delirio iraniano, il settennato di Scalfaro e due governi Prodi. E questa non è che una piccola parte dei cataclismi verificatisi negli ultimi trent'anni.

Insomma, qualsiasi aspirante leader intenzionato ad emergere venderebbe la propria mamma pur di poter disporre di una così nutrita serie ed ardua di cimenti (per dire: il povero Churchill ebbe la sola seconda guerra mondiale per passare alla storia. Nulla in confronto alle opportunità presentatesi al bolognese). Ma Casini niente. Per tutto il tempo, egli è stato lì a rimuginare, imperturbabile bonzo, su questa cosa acuminata del grande centro, che ha finito con il risucchiare completamente le sue ben note facoltà di stratega. Ci ricorda, in questo, il simpatico Mister Magoo, quel personaggio dalla vista non eccezionale che passa indenne attraverso mille perigli, senza minimamente accorgersi di ciò che gli capita intorno.

E così, tanto per fare un esempio, mentre nell'estate del 2008 il mondo tremava di fronte all’impennata del prezzo del petrolio e inquietanti scenari di spietata concorrenza energetica tra nazioni si stavano delineando, l’ex DC pensava a come indebolire l’incerto bipolarismo patrio, attirando a sé i moderati dell’uno e dell’altro schieramento, stando ben attento, però, a non compromettersi con nessuna delle due parti, per evitare problemi di taratura dell’ago della bilancia che voleva diventare. Ed anche quando le ondate migratorie dalla Tunisia e dalla Libia si schiantavano poderose contro le nostre povere coste, portando allo scoperto tutta l’ipocrisia umanitaria di cui l’Europa è capace, l’ex DC pensava a come indebolire l’incerto bipolarismo patrio, attirando a sé i moderati dell’uno e dell’altro schieramento, stando ben attento, però, a non compromettersi con nessuna delle due parti, per evitare problemi di taratura dell’ago della bilancia che voleva diventare. Una vera ossessione.

Ma saremmo fin troppo ingiusti nei confronti dell’ex berlusconiano se non riconoscessimo che, a guardarla bene, questa cosa del grande centro sarebbe pure coerente con le fondamentali leggi dell’entropia: tutti insieme in un unico, grande indifferenziato. Come dire che l’emiliano gode financo dell’appoggio della freccia del tempo (niente di meno). E se pare destino che parlando di un democristiano si finisca ogni volta a trattare di sconvenienti questioni di spintarelle, ci troviamo nel dovere di concedere al pluridecennale incaponimento del Pierferdinando nazionale un qualche fondamento scientifico.

In ogni caso, una conferma del fatto che tra PD e PdL una sorta di buco nero effettivamente esista la si è avuta di recente. Quando, infatti, il venticello maleodorante della diaspora finiana scompigliò il panorama politico nazionale e tutta Italia era in subbuglio e non si sapeva che ne sarebbe stato del Governo e della legislatura, il gattone felsineo, leggendo sagacemente le oscure trame del momento, capì che, nonostante dimostrasse da tempo una inveterata tendenza ad abbracciare con convinzione tutte le posizioni politiche concepibili (ed avesse in mano, di conseguenza, un gran numero di passaporti per qualsiasi destinazione intra ed extra parlamentare), il Presidente della Camera avrebbe finito per inabissarsi come un ciocco nella palude centrista. Bastava semplicemente attendere. E così è stato. Pierferdinando “Cunctator” Casini.

Questioni cosmologiche a parte, siamo certi che il Nostro attirerà senz’altro l’interesse degli storici per la sua fondamentale battaglia a favore delle quote famiglia. Da sempre, quando non viene loro in mente nulla che abbia una qualche lontana valenza strategica, i politici hanno l’abitudine di schiacciare il tasto di divisione della calcolatrice, per fornire al popolo la carota di una qualche forma di redistribuzione, miope e discriminatoria fin che si vuole, ma che il favore del pubblico lo incontra sempre. Ecco. E’ proprio questo il problema con il Pierferdy e con la stragrande maggioranza degli altri professionisti della buvette: mancano completamente di respiro strategico. Al posto di quest’ultimo, la protesi di infiniti tatticismi e provinciali a prolungare lustri e lustri di vuota chiacchera autoreferenziale diretta a sfamare il mediocre di piccole ambizioni personali.

Per quanto ci sforziamo di ricordare, ci pare proprio che il bolognese in lunga militanza parlamentare non abbia politicamente seminato moltissimo altro di cui dire. Questa oggettiva aridità si scontra con la nostra pretesa di contribuenti di ottenere, in cambio di laute prebende, la geniale creatività di scenari inattesi ed il carattere necessario per farne realtà: null’altro può giustificare il privilegio di una vita passata tra scranni di pregio. Di sicuro, siamo stanchi di leader nazionali che rilanciano enfatici ciò che abbiamo sentito qualche minuto prima al bar o sull’autobus (e per di più gratis). Sappiamo di non poter sperare in un nuovo ’94, ma un serio ricambio, quello sì, lo dobbiamo costruire.

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